Bari è la mia città d’origine e, così come ho dedicato un #vlog alla mia città d’adozione, Dublino, non potevo che fare lo stesso anche col capoluogo pugliese. Vi porterò per le strade della città vecchia, sul lungomare, sulla ruota panoramica e al porto a sbattere polpi. Ma non finisce qui: assaggerete con me e Marzia le sgagliozze e le popizze e vedrete la basilica di San Nicola e la cattedrale. Perché Bari è davvero una città meravigliosa con un’anima pulsante. E non lo dico perché sono di parte.
Partenze, arrivi e ripartenze sono le parole d’ordine di ogni italiano all’estero. Le festività, in particolare, diventano l’occasione a lungo attesa per tornare in patria, dalla propria famiglia. Si parte con una valigia completamente vuota e si fa ritorno pieni di cibo. Scatolette di tonno, salmone in scatola, confezioni di caffè, biscotti… La valigia diventa un supermercato. Eppure, ogni partenza ha il suo lato dolce e il suo lato amaro. E, purtroppo, bisogna accettarli entrambi.
Napoli è una città che amo molto, e che ho avuto modo di apprezzare ancora di più visitandola con una cara amica. Ritrovare le sue vie e la sua atmosfera peculiare in questo film è stato un vero piacere. Di Ozpetek ho visto tutti i film, nessuno escluso, a partire dai due di ambientazione turca. Non tutte le pellicole sono allo stesso livello (in particolare, mediocri sono Cuore sacro e Rosso Istanbul, a mio parere). Eppure, credo valga sempre la pena di andare al cinema per il buon vecchio Ferzan. Così, anche questa volta gli ho concesso una possibilità comprando un biglietto per Napoli velata. Ecco a voi i tre up e i due down che ho riscontrato. Voi che ne pensate?
Le cose che impari quando vai via di casa sono moltissime, pressoché infinite. Potresti impiegarci una vita solo per tentare di metterle in fila una dopo l’altra. La verità è che lasciare la propria famiglia per la prima volta è un trauma. Un po’ come quando sei bambino ed è il tuo primo giorno di scuola. Sono moltissime le cose che ancora non sai fare, ma soprattutto non sei pronto per stare da solo. Eppure, per qualche strana ragione, ce la fai. Ce la fai perché ce la fanno tutti, perché un sacco di gente l’ha fatto prima di te. E nel frattempo impari. Che cosa? Beh, io ho provato a raccontarvelo con questo video. Aspetto di conoscere le vostre esperienze, però. Sono sicura che ognuno di noi ha una sua storia da raccontare. Dite la vostra nei commenti o alla Posta di B.!
I giovani ventenni e l’angoscia del futuro. Perché ho scelto questo sottotitolo per il post? Beh, perché da venticinquenne non posso che ritenerlo il più azzeccato per descrivere la situazione attuale della mia generazione.
La frase che noi ventenni degli anni 10 ci sentiamo ripetere più spesso da chi è più grande di noi è immancabilmente questa: “Alla tua età, io avevo già…”. Dopo i puntini di sospensione possono esserci diverse affermazioni: avevo già un figlio, due figli, tre carovane di figli, una moglie, due divorzi, tre vacche, un bue, un lavoro a tempo indeterminato, una collezione di francobolli eccetera.
Non è importante ciò che viene dopo i puntini di sospensione. Ciò che conta è quel “io avevo già”. E noi? Noi che abbiamo?
Ci siamo, allora: l’inverno sta finendo. C’è questa pagina della Vita nova che da qualche giorno mi ronza nella testa. C’è Beatrice, no?, e davanti a lei cammina Giovanna, chiamata Primavera per la sua bellezza. Ma non si tratta solo della sua bellezza, in realtà. Lei è la primavera perché Prima Verrà, perché anticiperà Beatrice. Mi è sempre piaciuto, questo gioco di parole.
Così, in questi giorni, questo ritornello mi ronza nella testa e si è rafforzato, in particolare, nelle 48 ore trascorse a Firenze. Sono partita che era martedì mattina, sono arrivata di notte, ho trascorso un giorno lì e sono ripartita giovedì mattina. E lì, guardando l’Arno verde smeraldo alla luce del mattino, e le botteghe di Ponte Vecchio che secondo la mia compagna di viaggio sono Diagon Alley, e i lucchetti intorno alla ringhiera con su scritto “Vietato mettere lucchetti”, pensavo alla primavera in arrivo, a quel vento scombinato che non si sa mai dove ti lancerà i capelli, a quel non so che di sonnolento che è nell’aria e che, chissà come, ha la stessa forma di un risveglio.
C’è qualcosa di molto divertente nei viaggi che durano 48 ore. Non hai il tempo di abituarti a ciò che vedi, devi fare in fretta e al tempo stesso non vuoi dimenticare nulla. E poi ci sono i bar, i caffè a tre euro, il caffè con panna che arriva anche a quattro ma chissenefrega, una volta si muore. La pizza col pesto in via de’ Calzaiuoli, il gelato cioccolato e menta, e tutti quei negozi pieni di borse di pelle che costano più di tutta me e un pezzettino del mio gatto.
Gli interminabili viaggi in pullman, quella primavera che già si intuisce all’orizzonte, spalmata in un cielo rosso fuoco al tramonto, mentre l’ordine casuale dell’iPod manda in loop Battisti con Vento nel vento e, guarda un po’, ecco qui le pale eoliche tra la fermata di Napoli e quella di Andria. Ho sempre amato le pale eoliche, chissà perché. Specialmente così, con Battisti immenso negli auricolari troppo stretti per contenerlo e il tramonto di fine inverno lì fuori, rosso e viola, raschiato nell’azzurro.
C’è una primavera lì fuori, in attesa al varco. Preparo uno degli ultimi tè caldi della stagione, accendo ancora una volta il caminetto e lascio che il gatto mi si aggrappi al maglione, tanto ormai i fili li ha già tirati tutti. Verdino mi fissa dalla culla, con quegli occhi che sembrano già capire così tanto.
Se domani sarà bel tempo, potrò finalmente tirar fuori dall’armadio la mia gonna preferita, quella verde smeraldo. Primavera. Prima verrà.
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