Partenze, arrivi e ripartenze sono le parole d’ordine di ogni italiano all’estero. Le festività, in particolare, diventano l’occasione a lungo attesa per tornare in patria, dalla propria famiglia. Si parte con una valigia completamente vuota e si fa ritorno pieni di cibo. Scatolette di tonno, salmone in scatola, confezioni di caffè, biscotti… La valigia diventa un supermercato. Eppure, ogni partenza ha il suo lato dolce e il suo lato amaro. E, purtroppo, bisogna accettarli entrambi.
Bruxelles è una città molto graziosa che, con un po’ di organizzazione, è possibile visitare in 24 ore. Ho trascorso nella capitale belga l’ultima settimana, ancora una volta per un convegno. Non ho avuto quindi molto tempo per fare la turista, eppure sono riuscita a visitare la città. Ecco a voi un possibile itinerario per trarre il massimo da un solo giorno di viaggio a Bruxelles. Anche se, come me, siete poveri.
Le blogger povere viaggiano nell’ultima fila dell’aereo, quella senza finestrini. Dormono in ostello, dimenticate da Cristo nella periferia di una capitale europea. Dimenticano la spazzola a duemila km di distanza e girano struccate con le occhiaie da panda. Però scattano foto fighe. Non per niente sono blogger. Se sei povera anche tu, iscriviti al canale. Piangiamo insieme.
Lancaster è una tranquilla città universitaria inglese dove ho avuto il piacere di trascorrere l’ultima settimana. A differenza di Londra e degli altri centri principali del Regno Unito, è decisamente vivibile. Non vi dirò che c’è moltissimo da visitare perché, per l’appunto, non è esattamente zona turistica. Eppure è un bel posto per trascorrere qualche giorno in tranquillità e assaporare la vera vita inglese. Ecco a voi il mio diario di bordo della settimana che ho trascorso lì per un convegno universitario.
Dublino. Sembra impossibile, eppure è già passato un mese da quando sono arrivata qui. Me ne sono accorta ieri sera, quando ho pagato l’affitto di ottobre. Solo un mese fa ero a Bari, mi addormentavo insieme al gatto e bevevo vero caffè ristretto. Adesso sono qui e bevo tazzone enormi di caffè americano nelle quali potrei facilmente annegare. Ho gli occhi pieni di verde e ho sospeso gli antistaminici. E ormai sono entrata a pieno ritmo in quella che per tre anni (per il momento) sarà la mia nuova vita. In alto le Guinness. Cheers to me!
Ci siamo, allora: l’inverno sta finendo. C’è questa pagina della Vita nova che da qualche giorno mi ronza nella testa. C’è Beatrice, no?, e davanti a lei cammina Giovanna, chiamata Primavera per la sua bellezza. Ma non si tratta solo della sua bellezza, in realtà. Lei è la primavera perché Prima Verrà, perché anticiperà Beatrice. Mi è sempre piaciuto, questo gioco di parole.
Così, in questi giorni, questo ritornello mi ronza nella testa e si è rafforzato, in particolare, nelle 48 ore trascorse a Firenze. Sono partita che era martedì mattina, sono arrivata di notte, ho trascorso un giorno lì e sono ripartita giovedì mattina. E lì, guardando l’Arno verde smeraldo alla luce del mattino, e le botteghe di Ponte Vecchio che secondo la mia compagna di viaggio sono Diagon Alley, e i lucchetti intorno alla ringhiera con su scritto “Vietato mettere lucchetti”, pensavo alla primavera in arrivo, a quel vento scombinato che non si sa mai dove ti lancerà i capelli, a quel non so che di sonnolento che è nell’aria e che, chissà come, ha la stessa forma di un risveglio.
C’è qualcosa di molto divertente nei viaggi che durano 48 ore. Non hai il tempo di abituarti a ciò che vedi, devi fare in fretta e al tempo stesso non vuoi dimenticare nulla. E poi ci sono i bar, i caffè a tre euro, il caffè con panna che arriva anche a quattro ma chissenefrega, una volta si muore. La pizza col pesto in via de’ Calzaiuoli, il gelato cioccolato e menta, e tutti quei negozi pieni di borse di pelle che costano più di tutta me e un pezzettino del mio gatto.
Gli interminabili viaggi in pullman, quella primavera che già si intuisce all’orizzonte, spalmata in un cielo rosso fuoco al tramonto, mentre l’ordine casuale dell’iPod manda in loop Battisti con Vento nel vento e, guarda un po’, ecco qui le pale eoliche tra la fermata di Napoli e quella di Andria. Ho sempre amato le pale eoliche, chissà perché. Specialmente così, con Battisti immenso negli auricolari troppo stretti per contenerlo e il tramonto di fine inverno lì fuori, rosso e viola, raschiato nell’azzurro.
C’è una primavera lì fuori, in attesa al varco. Preparo uno degli ultimi tè caldi della stagione, accendo ancora una volta il caminetto e lascio che il gatto mi si aggrappi al maglione, tanto ormai i fili li ha già tirati tutti. Verdino mi fissa dalla culla, con quegli occhi che sembrano già capire così tanto.
Se domani sarà bel tempo, potrò finalmente tirar fuori dall’armadio la mia gonna preferita, quella verde smeraldo. Primavera. Prima verrà.
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