Libri, film, telefilm – settembre 2017

Libri, film e telefilm: come ogni mese, ecco il post dedicato alle letture e a ciò che ho visto in tivù e al cinema a settembre. Questo inizio d’autunno è passato in particolar modo sotto il segno dei Cazalet, che ho iniziato a conoscere. Non solo: ci sono state piacevoli scoperte, alcune conferme e, purtroppo, anche qualcosa che proprio non mi è piaciuto. Ma vediamo che cosa è successo negli ultimi trenta giorni…

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I libri di B.

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“Però, scusa, quando fai il macchinista, dov’è la tua casa? Perché ovunque si trovi casa tua, tu sei sempre lontano, no?”

LA TRAMA:

È l’estate del 1937 e la famiglia Cazalet si appresta a riunirsi nella dimora di campagna per trascorrervi le vacanze. È un mondo dalle atmosfere d’altri tempi, quello dei Cazalet, dove tutto avviene secondo rituali precisi e codici che il tempo ha reso immutabili, dove i domestici servono il tè a letto al mattino, e a cena si va in abito da sera. Ma sotto la rigida morale vittoriana, incarnata appieno dai due capostipiti affettuosamente soprannominati il Generale e la Duchessa, si avverte che qualcosa sta cominciando a cambiare.

Ed ecco svelata, come attraverso un microscopio, la verità sulle dinamiche di coppia fra i figli e le relative consorti. L’affascinante Edward si concede svariate amanti mentre la moglie Villy si lacera nel sospetto e nella noia; Hugh, che porta ancora i segni della grande guerra, forma con la moglie Sybil una coppia perfetta, salvo il fatto che non abbiano idea l’uno dei desideri dell’altra; Rupert, pittore mancato e vedovo, si è risposato con Zoë, un’attrice bellissima e frivola che fatica a calarsi nei panni della madre di famiglia; infine Rachel, devota alla cura dei genitori, che non si è mai sposata per un motivo ben preciso. E poi ci sono i nipoti, descritti mirabilmente nei loro giochi, nelle loro gelosie e nei loro sogni, in modo sottile e mai condiscendente, dalle ingenuità infantili alle inquietudini adolescenziali.
Ma c’è anche il mondo fuori, e la vita domestica dei Cazalet s’intreccia inevitabilmente con la vita di un paese sull’orlo di una crisi epocale. Mentre le vicissitudini private dei personaggi vengono messe a nudo e vicende grandi e piccole intervengono a ingarbugliare le loro esistenze, si comincia a mormorare di una minaccia che viene dal continente, e che assume sempre più spessore nelle consapevolezze dei protagonisti, fino a diventare tangibile: la seconda guerra mondiale è alle porte.

La prosa sapiente di Elizabeth Jane Howard, il suo sguardo acuto e la sua ironia affilata ci accompagnano in queste pagine mano nella mano, fino alla fine del primo libro della saga dei Cazalet, lasciandoci con la voglia di andare avanti.

LA MIA OPINIONE:

Ho amato moltissimo questo libro, che mi ha accompagnata nel mio viaggio verso l’Irlanda con la sua prosa scorrevole, affascinante, mai ripetitiva. Non conoscevo Elizabeth Jane Howard (ma ho già comprato tutto ciò che ha scritto) ed è stata una splendida sorpresa. Amo la narrativa vera, quella di qualità che sa tenerti incollata alle pagine. E soprattutto, ho scoperto che amo le saghe familiari. Non per niente ho appena acquistato così tanti libri di Jeffrey Archer che penso di potermi dire soddisfatta da qui all’eternità. In ogni caso, non mi dilungo sui Cazalet perché ho già deciso di dedicar loro un post intero, quando avrò finito il quinto volume. Sono al secondo, per cui ci vorrà un po’ di tempo, ma prometto che arriverà.

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“Il rosso era il mio colore preferito, il simbolo della vita, di un cuore che pulsa, della passione, dell’amore, ma anche del dolore e di ogni altro sentimento forte, di quelli che lasciano il segno”.

LA TRAMA:

Sono passati quindici anni da quando Juliet Miller ha lasciato Wood’s Bridge, una piccola cittadina costeggiata dall’oceano. Eppure non ne ha mai dimenticato il legame profondo. Così, dopo un’ennesima cocente delusione, decide di farvi ritorno per curare le sue ferite.
Viso a viso con i ricordi della sua adolescenza, si aspetta di ritrovare la serenità perduta. Un nuovo punto di inizio che possa permetterle di pensare, almeno per una volta, solo a se stessa.
Invece, si ritroverà ben presto ad annaspare nell’oceano in tempesta di due profondi occhi azzurri incupiti da un passato che lei non conosce, ma che proverà a combattere cercando di riportare colore nella vita di chi si è rassegnato al grigiore.

LA MIA OPINIONE:

Ho letto questo romanzo per lavoro, ma era già nel mio kindle e sicuramente l’avrei letto in ogni caso, presto o tardi. Mi aveva incuriosita sin dall’inizio per via della trama e anche perché, conoscendo Cinzia, avevo seguito su Facebook gran parte del processo creativo. Si tratta di un romanzo davvero ben strutturato, originale nella trama e nella sua evoluzione. Non è la “solita storia d’amore”, di questo potete star sicuri. Mai stucchevole, è un libro che si lascia leggere in poche ore. I personaggi sono costruiti benissimo e sono credibili. Brava!

 

 “Quello strano senso di vuoto dentro di me – la presenza di qualcosa di inesistente – assomigliava al terrore paralizzante che uno prova quando sale in cima a una guglia altissima. Il fatto che ci fosse un legame tra la fame e il senso di vertigine era una scoperta”.

LA TRAMA:

Un gruppo di giovani male in arnese è cosi affamato da decidere di ricorrere agli estremi rimedi: rapinare una panetteria. Non per il denaro, ma per il pane. Quando arrivano però nel negozio scelto “per il colpo” hanno la prima di molte sorprese. Il panettiere non si opporrà in nessun modo all’esproprio, anzi sarà ben felice di dare loro il pane, a patto che facciano una cosa, una cosa molto semplice per lui: ascoltare un brano di Wagner… Prosegue la “serie di fuori serie” dei racconti di Murakami illustrati da artisti italiani e internazionali. Questa volta a dare forma e colore alle atmosfere del maestro giapponese è Igort, al secolo Igor Tuveri.

LA MIA OPINIONE:

Non mi ha convinta del tutto, questo libriccino che appartiene alla serie di testi brevi di Murakami Haruki (insieme a La strana biblioteca e a Sonno). Ci sono diversi spunti interessanti, eppure non credo che la narrativa breve sia davvero il punto forte di questo autore, che forse è molto più a suo agio con la forma romanzo. Affascinante l’idea della fame senza fine e della fame/vertigine, così come la metafora dell’io narrante che naviga su un abisso da cui può guardare la bocca del vulcano. Molto belle le illustrazioni. Per il resto… credo davvero che manchi qualcosa.

“Era bello starsene fuori a fumare, di notte. Nei momenti migliori mi dimenticavo perfino che ci fosse una reception da presiedere, che stessi lavorando. Ma si poteva davvero chiamare lavoro quello sperpero di sonno, di energia, di forza?”

LA TRAMA:

“Chiunque abbia lavorato in un hotel giurerà di avere a disposizione un’aneddotica pressoché sterminata sulla clientela”, dice il protagonista di questa vicenda ipnotica. La sua aspirazione sarebbe quella di diventare “un virtuoso del pianoforte”, ma per sbarcare il lunario si vede costretto a fare il portiere di notte in un albergo. Ed è li che conosce Mabel, una collega con “poco seno, pochi fianchi, nessuno slancio – capace di comunicare una morbidezza del tutto assente nelle sue forme”. Il fascino e la complicità che sprigiona ogni suo gesto sono le armi più affilate di un personaggio disarmante e inafferrabile che – accettando “tutto quello che le viene incontro con arrendevolezza” – fa infuriare ogni donna e seduce ogni uomo. Sarà proprio Mabel a illuminare lo scorrere lento delle notti del protagonista – incapace di trovare il coraggio per mettere a fuoco la sua vera identità -, e a impartirgli un’inconsapevole lezione sulle qualità che deve possedere un artista.

LA MIA OPINIONE:

Anche questo libro, ahimè, non mi ha convinta del tutto. Anche qui manca qualcosa, benché non saprei dire con esattezza “cosa”. Forse un po’ di verve, forse l’anima dell’autore… non so. In molti punti mi è sembrato un compitino per il corso di scrittura creativa. Certo, c’è l’idea di base che è valida, ma d’altra parte non sarebbe mai stato neppure un romanzo se non avesse avuto un’idea da cui partire. Lo so, adesso dirò una frase da talent show di quart’ordine, ma è la verità: non mi è arrivato.

“Mi dico alle volte che scrivere è come fondare un paesaggio”.

LA TRAMA:

Lampedusa, 3 ottobre 2013, notte fonda, la scrittrice, sola in cucina, beve un caffè e sfoglia il giornale quando un bollettino radio le vomita addosso gli ultimi avvenimenti: un barcone proveniente dalla Libia è affondato a due chilometri dalla costa causando la morte di oltre 300 persone. Nella mente di Maylis di Kerangal, alla voce metallica della radio fanno da contrappunto le immagini di Burt Lancaster, ne Il Gattopardo, poi in The Swimmer. Il suo pensiero vaga e divaga dando vita a un paesaggio interiore insieme tragico e mitico e, passando per altre isole, per altre migrazioni, ricompone, come in un caleidoscopio, la Lampedusa attuale, ormai lontana dal mondo dorato del principe di Salina e indissolubilmente legata a quello e a altri naufragi.
Con Lampedusa, l’autrice compie a suo modo una traversata notturna durante la quale interroga un mondo in decadenza dove i diritti umani cessano a un tratto di esistere.

LA MIA OPINIONE:

Perplessità anche qui. In realtà, quando sono arrivata alla fine di questo esile volumetto, ho avuto la conferma alle mie supposizioni: è stata un’opera commissionata. E si vede, aggiungerei. Si vede perché mi ha ricordato me al liceo quando dovevo consegnare un saggio e mi arrabattavo la notte prima mangiando Nutella direttamente dal barattolo e bevendo caffè per non cadere di faccia sulla tastiera del computer. Mi è sembrato proprio questo: un libriccino scritto in fretta e furia la sera prima della consegna. Magari mi sbaglio, ma è quello che pare. Ciò non toglie che la prosa sia incantevole, ma saper scrivere non significa necessariamente che il libro sarà un buon prodotto. E infatti.

“Egli non sentiva rimorsi al pensiero della vecchia morta. Una sola cosa lo faceva inorridire: l’irrevocabile perdita d’un segreto, dal quale si aspettava l’arricchimento”.

LA TRAMA:

Hermann è un giovane ufficiale del Genio dalla personalità apparentemente razionale e dalla condotta irreprensibile. Pur essendo estremamente attratto dal gioco d’azzardo, non osa praticarlo, nella convinzione di non poter sacrificare l’indispensabile per procacciarsi il superfluo. La sua lucidità viene però sconvolta dal racconto del suo commilitone Tomskij: questi riferisce un aneddoto riguardante il passato di sua nonna, una nobildonna ormai decrepita, un tempo giocatrice appassionata. Secondo il racconto di Tomskij la donna sarebbe in possesso del segreto per vincere al gioco, che custodisce gelosamente. La storia della vecchia contessa impressiona profondamente Hermann, che da quel momento sarà ossessionato dal desiderio di conoscere la sua misteriosa cabala. Seducendone la giovane dama di compagnia, riesce ad introdursi nella stanza della contessa, e la implora di svelargli il suo segreto. Terribilmente spaventata, la contessa muore sul colpo, lasciando Hermann senza risposta e in preda all’ossessione.

LA MIA OPINIONE:

Dopo tanta narrativa breve poco o niente affatto riuscita, Puskin è venuto in mio soccorso per risollevare le sorti di questo mese altalenante. La dama di picche è un racconto perfetto, in cui si abbattono qui e lì colpi di scena che mutano completamente le sorti dei personaggi e in cui niente viene lasciato al caso. L’ironia di fondo è la linfa vitale di questo testo e a fine lettura si ha la sensazione che l’autore ci stia strizzando l’occhio, proprio come la contessa nel finale. Affascinante.

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LA TRAMA:

In un quartiere popolare di Hong Kong, un gangster di bassa lega protegge e cerca di tener fuori dai guai un ragazzo più giovane, al quale è legato da una stretta amicizia e dalla comune esperienza di vita pericolosa. Quando il gangster si innamora di sua cugina, matura il desiderio di lasciare quella vita di espedienti e illegalità.

LA MIA OPINIONE:

Che meraviglia! Le luci, la tavolozza dei colori scelti, le inquadrature a sorpresa, i rallenty imprevisti… tutto denota la grande maestria di Wong Kar-wai, che è un regista che vi invito a scoprire perché non ve ne pentirete. Ah, quasi dimenticavo: ovviamente ho pianto.

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LA TRAMA:

In piena Guerra di Secessione, nel profondo Sud, le donne di diverse età che sono rimaste in un internato per ragazze di buona famiglia danno ricovero ad un soldato ferito. Dopo averlo curato e rifocillato costui resta confinato nella sua camera attraendo però, in vario modo e misura, l’attenzione di tutte. La tensione aumenterà mutando profondamente i rapporti tra loro e l’ospite.

LA MIA OPINIONE:

Ne ho già parlato diffusamente, per cui non mi dilungherò. Dico solo che mi è piaciuto molto: secco, asciutto, molto vicino alle Vergini suicide. Val la pena di vederlo (adesso però corro a recuperare la lettura del libro, me tapina).

LA TRAMA:

A modern-day witch uses spells and magic to get men to fall in love with her.

LA MIA OPINIONE:

Voto 7. La trama in sé non è il top dell’originalità, e anche la recitazione lascia un po’ a desiderare, però si tratta di un prodotto molto interessante per fotografia, costumi e per quel tocco “vintage” che lo fa sembrare un film degli anni Ottanta. Comunque, non è frivolo come sembra. Nella ricerca spasmodica dell’amore da parte di Elaine riconosco un bel po’ di atteggiamenti patologici presenti in molte donne. Come tutte le commedie nere, anche questa ha la sua triste verità da raccontare.

LA TRAMA:

Dunkirk tells the story of miraculous evacuation of Allied soldiers from Belgium, Britain and France, who were cut off and surrounded by the German army from the beaches and harbor of Dunkirk, France, between May 27- June 04, 1940, during Battle of France in World War II.

LA MIA OPINIONE:

Christopher Nolan: o lo ami o lo odi. Io devo ancora decidere da che parte sto, perché cambio idea per ogni suo film (Interstellar, per esempio, l’ho trovato davvero mediocre). Il problema di Nolan è che tende a far spettacolo in maniera spesso esagerata, il che si porta dietro le critiche di un sacco di recensori amanti della sobrietà intellettualoide. Questo film, in realtà, mi è piaciuto molto. Certo, venitemi a parlare di propaganda post-Brexit e potrei anche essere d’accordo, ma ciò non toglie che è davvero un buon film, che si gioca più sui silenzi che sui dialoghi, più sul paesaggio (mare-terra-aria) che sugli stessi protagonisti. Credo che, in realtà, si tratti di una delle migliori opere di Nolan, se escludiamo Inception che secondo me rimane il suo capolavoro indiscusso.

LA TRAMA:

Set in 2010s Washington, D.C., House of Cards is the story of Congressman Frank Underwood (Kevin Spacey), a Democrat from South Carolina’s 5th congressional district and House Majority Whip. After being passed over for appointment as Secretary of State, he initiates an elaborate plan to get himself into a position of greater power, aided by his wife, Claire Underwood (Robin Wright). The series deals primarily with themes of ruthless pragmatism, manipulation, and power.

LA MIA OPINIONE:

Forse è troppo presto per parlarvene, visto che sono ancora alla prima stagione, ma ciò che posso dirvi è che per il momento mi sta piacendo tantissimo. Sorvoliamo sul fatto che Kevin Spacey è appena entrato nell’olimpo dei miei attori preferiti (per non parlare di Robin Wright, glaciale e meravigliosa), e diciamo che la serie tv in sé è davvero ben strutturata, coinvolgente e addicting. Vi terrò aggiornati.

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