Se c’è una cosa che ho capito in venticinque anni di vita è l’importanza di dire grazie. Non semplicemente per cortesia e non solo a chi ci sta facendo un favore. La gratitudine è un concetto più ampio, da applicare a ogni aspetto della vita. C’era chi diceva “Quando siete felici, fateci caso”. Perché la verità è che siamo bravissimi a ricordare costantemente tutto ciò che non va. E un po’ meno bravi a notare le cose belle, quando accadono. E accadono, sempre.
Questione di prospettiva
Non è che gli aspetti negativi della quotidianità siano più numerosi di quelli positivi. Il punto è che li notiamo di più. Siamo fatti così: vediamo i problemi illuminati da un faro e le cose belle alla luce di un cerino. Magari nell’arco di una giornata abbiamo bevuto il caffè più buono dell’ultimo mese o abbiamo letto una poesia illuminante. Eppure, alla fine di quella giornata, ricordiamo solo la lite con un amico o il parcheggio che non abbiamo trovato.
Questo accade perché i problemi, ovviamente, richiedono una soluzione. E questo ci spinge a pensarci di continuo, nel tentativo di trovare una risposta. Così diventano sempre più grandi, mentre i piccoli miracoli quotidiani, nati già risolti, passano inosservati.
Senza accorgercene, questo atteggiamento ci rovina letteralmente la vita. Eppure siamo noi a dare un peso a ciò che accade. Non solo: siamo noi a scegliere il flusso dei nostri pensieri. E la verità è che siamo sempre sbilanciati o indietro o in avanti. O pensiamo a ciò che sarebbe potuto andare diversamente nel passato o ci scervelliamo interrogandoci sul futuro. Solo che non possiamo controllare né l’uno né l’altro, ergo ogni pensiero del genere è una perdita di tempo. L’unico momento che possiamo controllare è quello che stiamo vivendo adesso.
Quando siete felici, fateci caso
A un certo punto, ho iniziato a chiedermi a quale genere di pensieri stessi dando più spazio. E mi sono accorta che pensavo alle persone che avevo perso, alla prossima valigia da preparare, al check-in del prossimo volo. E intanto mi passavano sotto il naso Nipota, libri meravigliosi, passeggiate con le amiche, e non ne godevo affatto. Così mi sono detta: facci caso. Non è scontato che l’autobus arrivi perfettamente in orario. E non è scontato parcheggiare al primo colpo, azzeccando la manovra senza prendere il marciapiede. Bere un caffè al ginseng che sa di nocciola e che è dolce al punto giusto. Scrivere un racconto per intero. Dormire bene. Mangiare. Respirare.
Il punto è che siamo abituati a concentrarci sull’assenza e non sulla presenza. Pensiamo a chi non c’è mentre guardiamo il mare in lontananza dalle terrazze di Polignano, e il mare non lo vediamo nemmeno. E invece il mare c’è, e quella persona no. Ecco perché dobbiamo farci caso, alla bellezza delle piccole cose. Alla loro presenza. Ed ecco perché ho iniziato a tenere un quaderno della gratitudine.
Il quaderno della gratitudine
In realtà, è un’idea semplicissima. Qualcosa di così semplice e banale che molti di voi diranno “tutto qui?”. E invece non c’è niente di facile nel tenere un quaderno della gratitudine. A fine giornata, ogni giorno, scrivo su un quaderno la data e poi cinque cose accadute nelle ultime 24 ore e delle quali sono grata. E la verità è che, all’inizio, è stato davvero difficile. Mi mettevo lì a fissare la pagina bianca e non trovavo niente di cui essere felice. Scandagliavo le ultime ventiquattr’ore con un lumicino e trovavo solo rogne. Che vita di merda, ho pensato le prime volte. Possibile che alla fine della giornata non riesca a trovare nulla di buono da portare a casa? E invece qualcosa di buono c’era. Solo che io, tanto per cambiare, non lo vedevo.
Le piccole cose belle sono, per l’appunto, piccole. Così piccole e timidine che si vanno a nascondere nella polvere delle grandi cose brutte e non le vedi mai. Sono silenziose, non fanno rumore e non strillano per attirare l’attenzione. Sei tu che devi scavare, farti piccolo esploratore e andare alla loro ricerca. Bisogna educare la propria memoria. Insegnarle a ricordare anche ciò che per natura si fa piccolo e si nasconde, e a portarlo con sé.
Il mio quaderno personale
Per esempio, il 12 agosto di quest’anno le mie cinque cose belle sono state:
- La pioggia dopo tanto tempo
- L’enorme arcobaleno visto dal pullman
- La signora che si rifugia sotto il mio ombrello e mi indica un tipo che sta meditando sotto la pioggia
- Fiona (il cane della mia migliore amica) che mi corre incontro e mi fa le feste anche se non mi vede da settimane
- L’esistenza del cioccolato alle mandorle salate
Cose piccole, quasi invisibili. Soprattutto, cose che non sono cose (a parte per il cioccolato, ma quello è l’eccezione che conferma la regola). Persone, incontri, sapori, parole. Meraviglie che sfuggono al controllo della nostra mente ansiogena, impegnata a rincorrere bollette, liti, ferite. E se è vero che dai dolori c’è molto da imparare, lo stesso vale per le gioie. E allora provateci. Mettetevi lì a spremervi le meningi per trovare le cinque cose belle per cui è valsa la pena di vivere quella giornata. Scoprirete che non è facile, per niente. E scoprirete anche che ogni giorno è stato vissuto per dei motivi validi. Almeno cinque, che non è mica poco, se ci pensate bene. Quando siete felici, fateci caso.
Bravissima mi sono commossa
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