Girlboss: libro VS telefilm

Come ben sapete, sono solita confrontare libri e film/telefilm ogni volta che ho la possibilità di farlo. Oggi a finire sotto il vetrino è Girlboss. Della versione televisiva vi ho già parlato, ma aspettavo di leggere anche il libro per potervi dire qualcosa in più. Ed eccoci qui. Pronti per la sfida all’ultimo sangue?

Girlboss: il libro

1) Chi se ne frega di quello che pensano gli altri

 

No matter where you are in life, you’ll save a lot of time by not worrying too much about what other people think about you. The earlier in your life that you can learn that, the easier the rest of it will be.

Diciamoci la verità, tanto per incominciare: io e Sophia non ci stiamo molto simpatiche. Questo è uno di quei casi in cui la stima e l’ammirazione non potrebbero mai sfociare in un rapporto di amicizia. Se dovessimo incontrarci di persona (cosa che presumo non accadrà mai) sono convinta che io e Sophia ci tireremmo i capelli a vicenda fino a diventare entrambe calve. But still.

Di questo libro, ovviamente autobiografico, ho apprezzato la sincerità, il che rende ancora più evidente quanto Sophia se ne freghi davvero di ciò che pensa la gente, anche a costo di risultare antipatica (a me, per esempio, è molto antipatica). Che cosa possiamo imparare da questo libro? Che davvero dovremmo fregarcene di ciò che pensano gli altri.

Il fatto è, miei cari amici, che la gente penserà sempre male di voi, di me, di noi. C’è solo un modo (forse) per non farsi odiare: non fare assolutamente niente. Rimanere immobili. Fissare il soffitto per un numero incalcolabile di ore e non produrre, non creare, non pensare nemmeno.

Su questo Sophia ha assolutamente ragione: fai qualcosa, qualunque cosa, e ti ritroverai a digrignare i denti per il resto dei tuoi giorni. E questo ci porta al secondo punto: l’invidia.

2) Come gestire l’invidia

 

The energy you’ll expend focusing on someone else’s life is better spent working on your own. Just be your own idol.

 

Altra lezione importante e molto, molto utile, soprattutto per me stessa e per tutti i colleghi che ogni giorno, sui social, si ritrovano coinvolti in diatribe interminabili, accuse (spesso, purtroppo, fondate) di plagio, recensioni fake e chi più ne ha più ne metta. La lezione è: focalizzatevi sul vostro lavoro. Siate gli idoli di voi stessi. Parola di Sophia, eh?

Il punto è che, in realtà, mi sono accorta di quanto questa lezione funzioni davvero. Non che ci volesse Nasty Gal per capirlo, però spesso, pur sapendo la verità, continuiamo a passare ore e ore spulciando Facebook per vedere cosa sta facendo quello, cosa sta scrivendo quell’altro, ecc. Inevitabilmente il confronto sbuca come un fungo, accompagnato da un forte senso di inadeguatezza e dalla sensazione che tutti stiano lavorando tranne noi. Il che, molto probabilmente, è vero.

Quindi: rimbocchiamoci le maniche, chiudiamo i social per un tot di ore al giorno e lavoriamo su noi stessi. Proviamo a guardare al nostro lavoro con lo stesso occhio critico col quale siamo soliti valutare il lavoro degli altri. E allora sì, che ne vedremo delle belle.

3) Gambe in spalla e costruisciti il tuo futuro

 

Abandon anything about your life and habits that might be holding you back. Learn to create your own opportunities. Know that there is no finish line; fortune favors action.

 

Questa è una citazione di Sophia che amo molto perché mi riconosco perfettamente nelle sue parole. Se c’è un aspetto che caratterizza noi italiani, proprio tutti, è la bravura nel lamentarci. Siamo sempre lì ad accusare chi è al governo, chi scrive libri, chi gira film, ecc. Ne parlavo tempo fa con un ragazzo di Budapest, perché è proprio così che ci vedono dall’estero. Lungi da me il demonizzare gli italiani al posto di qualunque altro popolo, però prendiamone atto: il lamento è il nostro punto forte.

Il punto è che sì, è vero, ci sono dei limiti che davvero non possiamo valicare, ostacoli veramente insormontabili e obiettivi che non potremo mai raggiungere. Ma è anche vero che un buon 80% di quelli che crediamo siano ostacoli sono in realtà dei limiti che ci siamo imposti da soli. Come quando dicevo “non vincerò mai un dottorato all’estero” e “non tornerò mai in Irlanda” e “non pubblicherò mai un libro” e “non riuscirò mai a entrare in una piscina”. E invece ero semplicemente troppo spaventata e pigra – soprattutto questo – per tentare ciascuna di queste cose, e molte altre che non sto qui a elencarvi per non farvi due palle così.

Girlboss: il telefilm

1) Cosa mi è piaciuto

Della serie tv tratta dal libro di Sophia Amoruso (operazione riuscita molto bene, tra l’altro, se consideriamo che si riesce a rispettare l’anima del libro senza copiarlo pedissequamente) mi sono piaciuti molto i colori. Sì, perché è un telefilm coloratissimo, e anche l’occhio vuole la sua parte, soprattutto in una serie che porta comunque l’attenzione dello spettatore sul mondo della moda.

Mi è piaciuta la colonna sonora, insolita ma sempre appropriata, e ho scoperto artisti che non conoscevo affatto. Mi è piaciuto molto il personaggio della migliore amica, ben strutturato e portato magistralmente in vita dall’attrice, Ellie Reed. Lei, invece, la Sophia delle Sophie, mi è piaciuta molto molto meno della voce narrante del libro. Eppure entrambe dovrebbero rappresentare la stessa persona, nonché raccontare la stessa storia. Okay, anche la Sophia del libro non è esattamente la candidata numero 1 a diventare la mia migliore amica, ma quella del telefilm mi è risultata insopportabile. E vediamo perché…

2) Cosa non mi è piaciuto

Lei è davvero, ma davvero, eccessiva. Costantemente sopra le righe, sempre sul punto di iniziare a urlare come una scimmia non ammaestrata o a sferrare pugni in un muro. Tratta il ragazzo come una pezza da piedi e lui – che chiaramente è un uomo del quale io non potrei mai innamorarmi neanche dopo essere stata lobotomizzata –  abbassa la testa e amen. Ecco, chiamiamo la protezione animali per quest’uomo.

Per tirare le somme: lei è una girlboss e fin qui non ci piove, però Cristo, sei un essere umano o no? Pessima amica, pessima fidanzata e, diciamocela tutta, più furba che ricca di talento (ma è un talento anche la furbizia, e lo dico senza ironia): insomma, non sarebbe mai potuta essere una protagonista amata dal pubblico e infatti, da quel che ho capito, la serie è stata cancellata.

Il problema non è tanto essere una badass perché – non giudicatemi – a dodici anni ero innamorata di Step di Tre metri sopra il cielo. Eppure lui non era esattamente il principe azzurro che ogni principessa sogna. E, guardate, se vi sto dicendo che un personaggio di Moccia era migliore di questa qui, vi ho detto veramente tutto.

Ricapitolando…

Il libro è piacevole, nonostante lei mi abbia fatto saltare i nervi una volta ogni 3-4 pagine. Ma qui è proprio questione di simpatia, non ci posso fare niente. La serie tv, a esser sincera, è evitabile. E infatti Netflix l’eviterà nel futuro, a quanto pare. Durante i corsi di scrittura creativa ripeto sempre ai ragazzi di creare personaggi nei quali la gente possa riconoscersi. Che non significa dover necessariamente mettere in piedi casalinghe e dottori, ma mettere in scena sentimenti ed emozioni veri.

Il lettore/spettatore può arrivare anche a detestare un personaggio, ma alla fine deve comunque sentire qualcosa che lo lega a lui. Persino per Malefica della Bella Addormentata si può provare compassione. E che diamine, non era stata invitata alla festa, ci sta pure che uno a un certo punto si incazza.

Il punto è, però, che qui stiamo parlando di un libro autobiografico e della serie tv che ne è stata tratta, e quindi qui di “creativo” non c’è poi molto. E se la vera Sophia è questa qui, noi non ci possiamo fare niente. Può starci sulle palle o possiamo adorarla. A me sta sulle palle, per esempio. Ma questo credo si sia già capito.