Il mantello dell’invisibilità

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L’invisibilità: un dono o una maledizione? Ultimamente ci penso spesso, in particolare da quando vivo in Irlanda. Il punto è che, quando ricominci del tutto in un Paese straniero, hai a che fare con persone che non hanno idea di chi tu sia. È gente che non ti ha vista crescere, che non sa qual è il tuo colore preferito, che non ti ha vista mettere a tacere il bullo della scuola. E allora ti tocca dimostrare tutto di nuovo, mettere in luce ciò che sei, mostrare il tuo valore. Ma conviene davvero? Perché certe volte restare nell’ombra può avere degli insospettabili vantaggi.

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Praticare l’allegria

L’allegria è qualcosa che si impara col tempo, come la matematica e i nomi delle capitali del mondo. Nasciamo innocenti, perfettamente in grado di divertirci con poco. Tuttavia, col passar degli anni, perdiamo l’abitudine alla felicità. I compiti in classe, le interrogazioni, e poi gli esami universitari, il lavoro. Veniamo travolti dalla furia della vita quotidiana, dal suo costante ripetersi. Impariamo a detestare i cambiamenti, a nasconderci dal mutare continuo della vita. Soprattutto, dimentichiamo che l’allegria va praticata, come ci ricorda quella vecchia canzone di Jovanotti. Ma come si fa a esercitare la felicità?

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La Posta di B. – Il veleno insidioso delle aspettative

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Aspettative: chi non se ne fa fin troppe su qualunque cosa? Persone, percorsi di studio, lavoro, amicizie… Ognuno di noi è naturalmente portato a immaginare che tutto possa andare per il meglio. Questo, però, ci porta spesso ad avere a che fare con la delusione. Di questo ci parlerà oggi F.B., che ringrazio per questa lettera sincera e sentita arrivata tempo fa alla Posta di B. Cara amica, cercherò di risponderti con quel po’ che l’esperienza mi ha insegnato. E intanto ti abbraccio, fortissimo <3

p.s. ricordate che la Posta di B. è sempre aperta per le vostre lettere o racconti o poesie o fotografie o qualunque cosa vogliate condividere in questo spazio!

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Volevo essere una party girl

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Volevo essere una party girl. All’inizio, però, quando ancora di me non avevo capito niente. Mi sono accorta di essere fuori dal coro quando avevo dodici anni, durante la festa patronale al paese. All’epoca vivevo in un paesino del sud Italia, vicino Bari. Era la festa del santo del posto ed ero uscita con i miei amici. Pop corn, lattine di Coca che a quei tempi costavano sessanta centesimi, caramelle gommose. Strano immaginarmi senza sigaretta, ma avevo dodici anni, ancora. Ed è stato lì, davanti alla giostra delle macchine da scontro, che ho capito che ero fuori dal mondo. I miei amici facevano a gara per chi dovesse giocare per primo, e io non volevo andarci. Odiavo le macchine da scontro, odiavo le giostre, odiavo le feste. Ed è stato allora che ho capito che non sarei mai stata come gli altri.

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De gustibus non est disputandum (ovvero del coraggio di avere un’opinione)

Non si possono giudicare i gusti altrui. Questo è quello che continuiamo a sentirci ripetere sin dalla notte dei tempi, ma ci crediamo davvero? Ci ho pensato tanto, a lungo. Ancora ci penso, soprattutto quando scorro la bacheca di Facebook. Facebook è una miniera di giudizi che volano e rimbalzano da un profilo all’altro. Ti piace quello scrittore? Non capisci un cazzo. Ti è piaciuto quel film? Non capisci un cazzo reloaded. Quello che penso è che a volte può anche piacerci qualcosa che fa schifo. Così, per sfizio. Non per questo saremo meno intellettuali di tutti quegli altri a cui piacciono sempre le cose giuste.

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Occasioni perdute: la bellezza segreta del momento mancato

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Le occasioni perdute. Ho sempre dedicato moltissimo tempo della mia vita a questo pensiero. Le sliding doors, i sì e no. Le cose che sarebbero potute essere e non sono state. Per tutti i miei venticinque anni di vita (non sono tanti, ma sono qualcosa) ci ho pensato. E mi sono tormentata per riuscire sempre a cogliere al volo l’occasione migliore. Il che va bene, per carità. Eppure, da un po’ di tempo a questa parte, ho iniziato a vedere le cose diversamente. Ovvero: e se non fosse poi così terribile perdere un’occasione? E se la perdita dell’occasione migliore ci portasse comunque a un’altra occasione? Che magari non sarà supercalifragilistica come la prima, ma pur sempre un’occasione. La migliore in quel momento.

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