A luce distante

Aveva passato la giornata a mettere in ordine la casa, eppure ogni cosa continuava a essere fuori posto.

Aveva riordinato gli appunti, risistemato i libri sugli scaffali e anche quelli che giacevano sul pavimento, nell’unico posto ancora rimasto libero per loro. Aveva lavato gli specchi, spolverato i ripiani dei mobili, gettato nella spazzatura i rossetti ormai vecchi che emanavano un odore chimico. Il giradischi in funzione per tutto il giorno, gracchiante.
Aveva sudato in tutto quello strofinare, pulire, spostare oggetti. I capelli le si erano incollati alla fronte disegnandole arabeschi strani come in un tatuaggio rituale all’henné. Eppure eccolo lì, il disordine: non si era spostato di una virgola.

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Da piccola odiavo le domeniche

Da piccola odiavo le domeniche. Sì, è vero, non si andava a scuola, ma la gioia della domenica finiva tutta lì, in quel risveglio spontaneo senza sveglia, e poi subito calava la depressione più cronica.

Non solo: la domenica non si poteva uscire. Ancora non avevo la patente, e dipendevo completamente dai mezzi pubblici che però, di domenica, non circolavano. E allora nulla, vagavo per casa nel mio paesino in provincia di Bari, lontana dal mondo quasi fossi l’unica abitante di un’isola deserta. Robinson Crusoe prima dell’arrivo di Venerdì.

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